
TOTO' CHE VISSE DUE VOLTE

---------------------------------------------
REGIA: Daniele Ciprì, Franco Maresco
CAST: Salvatore Gattuso, Marcello
Miranda, Carlo Giordano,
Pietro Arcidiacono
1998 Italia 95 minuti
DRAMMATICO/GROTTESCO
Marcone (in Benjamenta) 
Un film senza Redenzione che ritrae con consapevole crudezza un'umanità sull'orlo della disgregazione fisica e morale, popolata da 'freak' e personaggi esteticamente agli antipodi del mito hollywoodiano.
Uno sguardo freddo e disturbante puntato sulle vicende di tre bizzarri antieroi destinati ad una comune crocifissione.
La pellicola di Ciprì e Maresco percorre coraggiosamente il sottile orizzonte che separa la sfera terrena, alimentata da basse pulsioni vitali e primarie (il sesso su tutte) e la dimensione religiosa, creando elementi di contatto là dove appaiono più intollerabili e demolendo a colpi di cinismo e iperrealismo i simboli sacri più radicati nel senso comune.
Non c'è da stupirsi, quindi, assistendo alla celebrazione dell'autoerotismo come rito collettivo o vedendo nei panni del Messia un vecchio burbero e malandato che risponde a chi implora miracoli con colorite espressioni dialettali tipo: "levati dai cuglioni!".
Il giudizio sul film di Ciprì e Maresco non può comunque restare ancorato a mere questioni tecniche e narrative.
L'incredibile impatto prodotto (e riversato sull'ammasso di materia grigia che uso stimolare e nutrire con massicce dosi di celluloide) si deve quasi interamente a quegli ingredienti sopraffini che l'opera trasuda: ispirazione, creatività, genialità o chiamatela come volete.
Pensando alle infinite combinazioni che un'idea può assumere nel processo di sviluppo, solo alcune (pochissime a dirla tutta) portano in dote qualità basilari tipo: coraggio, originalità, ma soprattutto consistenza. E sono quelle idee che una volta nate ed opportunamente associate creano quello che in termine giuridico-legale è chiamato 'precedente'. Un punto di riferimento imprescindibile, pietra miliare per le future 'generazioni' (di idee e di autori).
Chiunque, fornito di fantasia non necessariamente galoppante, ma anche solo 'trottante', sarebbe capace di elaborare l'immagine di un angelo canterino, così come quella di due grossi omoni panciuti e bramosi di sodomia. Con un po' di spregiudicatezza qualcun'altro potrebbe anche azzardarne una qualche rudimentale sovrapposizione. Ma pensare di sposare due immagini così distanti nell'estetica e nel significato in una comune, potente, suggestiva metafora, è roba per pochi, fottuti geni.
Chiedere a Ciprì e Maresco.
il Saggio 
Il bianco e nero, un cast di personaggi fuori dal tempo e dai canoni estetici, atmosfere siculo-post-atomiche, sceneggiatura minimale, sottotitoli e totale assenza di figure femminili. Miscelate il tutto ed ecco a voi Totò che visse due volte, commedia drammatica divisa in tre atti.
Uno sfigato autoerotomane emarginato da una comunità di autoerotomani che ruba per pagarsi una battona; un omosessuale che sublima la relazione della sua vita rubando al cadavere dell'amato un anello di dubbia provenienza; la storia di uno sboccato messia che viene sciolto nell'acido per aver compiuto un miracolo sbagliato. Questi gli episodi narrati.
E poi ci lamentiamo che la massa ignori l'esistenza di questa pellicola?
Un film dissacrante e spettacolarmente antiestetico, dai contenuti devastanti, basato sugli istinti e privo di sentimenti.
Una goccia di poetico profumo nascosta sotto una montagna di escrementi.
Imperdibile soprattutto nell'ultimo atto.
Innumerevoli i particolari degni di menzione…le battute minimali scatenanti risate grasse fine a se stesse, la profanazione sessuale di icone religiose come l'angelo e la statua della Madonna, la rivisitazione del Golgota, la brulla natura come muto spettatore, le ruberie nelle tombe…
Se vogliamo, è possibile fare un parallelo con Il ritratto di Dorian Gray, opera letteraria di Oscar Wilde. Così come il ritratto quantificava la lordura dell'animo del protagonista che nella vita di tutti i giorni era sempre più bello esteticamente, così Totò che visse due volte è il termometro che misura l'orrida corruzione morale imperante nella nostra moderna e impeccabile società dell'apparenza.
Stella d'oro, soprattutto per il percorso meditativo al quale induce.
Fabbione (in Dottor Kurando) 
Le immagini monocromatiche intrise dello stile inimitabile di Ciprì e Maresco, attecchiscono nella memoria del telespettatore col medesimo sistema di persuasione adottato dalle industrie pubblicitarie. Credo infatti si avvicini allo zero la percentuale degli utenti che non ha impresse nella mente quelle sequenze spiazzanti di uomini deformi, mandate in onda sulla televisione di Stato e inserite come rasoiate in quel geniale contenitore di stramberie (rappresentate con sublime logica) che prende il nome di Blob; oppure a tarda notte, infilate senza preavviso tra una pausa e l'altra del palinsesto ormai giunto al capolinea. I più informati (paganti il canone o meno) infine si saranno fatti stregare da una trasmissione volutamente concepita per quegli esseri alla deriva: quella CinicoTv difesa a spada tratta dall'instancabile Enrico Ghezzi ed Angelo Guglielmi.
Poi il grande salto nell'olimpo dei lungometraggi, dapprima con lo Zio di Brooklyn e quindi, finalmente, col capolavoro Totò che visse due volte, pellicola maledetta e profondamente penalizzata dall'inquisizione della modernità meglio conosciuta come Censura. Per quanto concerne l'incredibile contenuto del filmato, ritengo che l'articolo di Stefano Masi (realizzato per ElleU Multimedia), colga in maniera impeccabile la poetica dei due registi del settentrione. Mi congedo ricordando che se il buongiorno si vede dal mattino, allora è sufficiente lasciarsi incantare a inizio pellicola dall'eccitata erezione di un asinello (anch'esso drammaticamente maschio in un mondo privo di femmine).
La Sicilia come luogo ideale per sperimentare il giudizio universale o come mondo dopo una catastrofe nucleare. Case pericolanti o già crollate, oceani di macerie e di rifiuti, fogne a cielo aperto, campi sterili. Unici momenti di aggregazione la preghiera e la masturbazione collettiva negli affollatissimi cessi del cinema a luci rosse. In lontananza, gli ultimi avamposti di una periferia che potrebbe essere Palermo, ma anche qualunque altra città. Ecco il panorama nel quale vagano, sperduti, gli antieroi di Totò che visse due volte. Sono animati da pulsioni elementari, la fame, l'avidità, il sesso, la più cieca prepotenza. Politicamente scorretto e al di là del buon gusto borghese, il film ha il ritmo del cortometraggio e la potenza visionaria del sogno. Totò che visse due volte si articola in tre episodi vagamente incatenati. Nel primo si raccontano le disavventure del povero Paletta, barbuto ragazzone,
deriso e in bolletta, che non può permettersi il lusso di una scopata con la puttana Tremmotori. Per finanziarsi deruba un altarino votivo dell'Ecce Homo, ma viene punito da un boss locale e messo in vetrina al posto della statua del Salvatore, con tanto di corona di spine attorno alla testa. Il secondo episodio racconta in flash-back la sordida love-story tra due maturi omosessuali, circondati dal disprezzo generale. I protagonisti del primo e del secondo episodio finiranno in croce nel terzo, rilettura dichiaratamente blasfema dell'iconografia cristiana. La Sicilia mafiosa al posto della Palestina di Gesù. Lazzaro un mafioso il cui cadavere viene disciolto nell'acido. Il Messia ha tutti i tratti del ciarlatano e strilla "Levati dai cuglioni!" a chi implora miracoli, anche perché spesso non riesce a farli e quando resuscita Lazzaro è il primo a restarne sorpreso.
All'ultima cena gli apostoli raccontano barzellette sconce e cominciano a mangiare prima dell'arrivo del Messia, che alla fine si arrabbia moltissimo… Non ci sono donne, né bambini nell'universo monastico e chiuso di Ciprì e Maresco, perché non c'è tenerezza, ma soltanto l'angosciante disperazione di chi si prepara alla morte, in un universo disfatto da una catastrofe (non si sa quale), che ovviamente è anche morale. Un cinema monastico che però non può fare a meno del sesso, né dei corpi, con le loro pance, la carne flaccida, la deformazione, i frutti dell'incesto. Eppure i corpi di questi freak, che aspirano soltanto alla soddisfazione dei loro bisogni più schifosamente fisici, esprimono in maniera drammatica la tristezza della carne. Così, miracolosamente, questo cinema della crudeltà, pieno di peti e di rutti, di perfidia e di sodomia, finisce per esprimere un desiderio molto "mistico":
quello di liberarsi dalla zavorra della carne.
(Il Cielo Sotto Palermo, di Stefano Masi.)
