SALO', O LE 120 GIORNATE DI SODOMA

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REGIA: Pier Paolo Pasolini
CAST: Paolo Bonacelli, Giorgio Cataldi,
Umberto Paolo Quintavalle, Aldo Valletti,
Hélène Surgère, Sonia Savange, Caterina
Boratto, Elsa De Giorgi, Ines Pellegrini SOGGETTO: Tratto dall’opera di
Donatién Alphonse F. Sade
SCENEGGIATURA : Pier Paolo Pasolini,
Sergio Citti
MUSICA: Ennio Morricone
1975 Italia / Francia 116m
DRAMMATICO




Marcone (in Benjamenta) 

Sullo sfondo storico di un'Italia in pieno dominio nazifascista, alcuni autorevoli gerarchi sequestrano giovani ragazzi e ragazze per ricreare, in una villetta appartata, un vero e proprio 'Stato ANALchico'. Tra orge e turpitudini consumate durante i riti più quotidiani, soprusi fisici e psicologici cadenzati da un taglio narrativo al limite tra geniale visionarietà e gelido cinismo, prende forma il teorema secondo cui è l'esercizio del potere la vera aberrazione dalla quale non c'è redenzione. E in terra si schiudono le porte di un inferno intrecciato a doppio filo con megalomanie e depravazioni umane.
Salò o le 120 giornate di Sodoma è un film che penetra direttamente nelle viscere, ma che esplode solo quando, dopo aver strizzato per bene le budella, si diffonde, inarrestabile, nel cervello. Una pellicola che pone lo spettatore di fronte ad una realtà sconvolgente (leggi 'sodomia' e 'coprofagia'). Lo prende letteralmente a schiaffi, lo violenta fino a fargli riconoscere la natura plausibile, seppur moralmente repressa, di ogni perversione, così da impedirgli un rifiuto aprioristico e bigotto della crudezza delle immagini (mai volgarmente gratuite). Ed infine lo persuade a partecipare al tutto con sofferenza emotiva ed intellettuale.
Salò o le 120 giornate di Sodoma è uno di quei film (pochissimi purtroppo) a costituire un netto punto di svolta. Lo vedi e sei inesorabilmente costretto a mettere in discussione il valore di tante altre pellicole, nonchè a ricalibrare ogni tuo parametro. Terminata la visione, con una battuta, ho spontaneamente sottolineato a Fabbione (in possesso di una collezione filmica altamente selezionata da un punto di vista qualitativo): "Questo è quel genere di film che appena lo riponi nello scaffale, comincia a rovesciarti a terra un bel po' di videocassette inutili!".

A titolo puramente personale ritengo doveroso segnalare gli ultimi 10-15 minuti del film (leggi 'Girone del Sangue') che ritengo terranno a lungo ottima compagnia ai miei incubi peggiori. Una pastosa sequenza di scene raccapriccianti che non solo valgono gli effetti truculenti del miglior film di un Aristide Massaccesi (meglio noto come Joe D'Amato), ma addirittura, grazie ad un contesto audio-visivo straniante (vedi binocolo, radio di sottofondo e urla silenziose delle vittime), moltiplicano a dismisura la loro potenza espressiva. Il massimo per un sincero ed appassionato amante dello splatter e dell'horror tutto.
Stella d'oro a vita.



il Saggio 

La paradossale descrizione di disumani gironi umani. Destabilizzante e stimolante. Crea nella mente come una ferita istantanea che poi diluisce nel tempo la cicatrizzazione, tanto che nei giorni successivi alla visione la testa torna spesso e inconsciamente sulle tematiche trattate dal regista. E', insieme, un secco pugno nello stomaco ed un seducente scappellotto sulla materia grigia. Un'antologia del libertino (uomo di costumi licenziosi, scostumato) destinata soltanto a quegli spettatori che non usano prendere sul serio se stessi e l’etica convenzionale.
Ritengo sia una pellicola troppo profonda per essere apprezzata appieno ad una prima visione o in seguito ad una visione superficiale.
Tra le altre, l’aspetto sociale è secondo me la principale attrattiva: in Antinferno, Girone delle manie e Girone della merda (decisamente accattivanti, ma incompleti per la staticità espressiva dei protagonisti) si assiste ad un predominio da parte dei potenti rispetto alle vittime della propria impotenza, nonostante ciò le due antitesi si fondono in un rapporto di reciproca dipendenza che invece nel Girone del sangue (il più bello e spietato) si trasforma in un silenzioso e vojeuristico confronto diretto tra crudeltà e capro espiatorio. Cinico e rivoltante, visionario e terribilmente attuale, intelligente e ammonitore il lungometraggio di Pasolini porta ad una sola considerazione (sinonimo di grandezza): o lo adori oppure lo odi.
Io giudico il film da stella metà d’argento e metà d’oro a causa della scarsa qualità globale del cast degli attori, troppo al di sotto, secondo me, rispetto alla peculiare politica ideologica profusa sul video, ma il prodotto è indubbiamente imprescindibile.



Fabbione (in Dottor Kurando) 

Siamo ben consapevoli di aver inaugurato questo spazio con la scelta di una pellicola disturbante ed estrema come Salò, ultimo film ‘incompiuto’ del grande cineasta, tragicamente scomparso poco prima di dare inizio al montaggio. Un battesimo provocatorio il nostro, che si propone di mettere a dura prova coloro che decideranno di seguire i nostri caldi consigli...
Lo spettacolo comincia e le primissime immagini in aperta campagna avvicendano due didascalie che sono un po’ la summa dell’intero lavoro; vi si legge: “1944-45 nell’Italia Settentrionale durante l’occupazione nazifascista” e subito dopo “ANTINFERNO”. Quindi, da una parte l’immancabile presenza dei soldati e l’opprimente eco dei bombardieri in volo - a riprova della tragica condizione in cui l’Italia versa - e dell’altra uno stacco netto dal contesto storico per scivolare in caduta libera sul filo spinato delle pulsioni umane. Visto che ho massima libertà di scrivere qualsiasi cosa, vorrei tentare un accostamento folle tra l’opera in questione del regista bolognese ed il Funny Games del glaciale austriaco Michael Haneke (tralasciando per un attimo il significato intrinseco e l'enormità intellettuale dell'opera pasoliniana).
Entrambi i lavori godono di uno smisurato pregio e di un veniale difetto.
Partendo dalla questione più spinosa, le due pellicole potrebbero venire interpretate come furbi contenitori di violenza fine a se stessa, fraintendimento scaturito tanto dalla sensibilità emotiva dello spettatore quanto dalla sua predisposizione socio-culturale.
La buona notizia invece, è che i due lavori scandagliano con perverso occhio clinico le parti vitali dell’animo umano: l’istinto e la ragione. Lì dove i lunghi silenzi di Haneke alimentano angoscia, i dialoghi gravidi di Pasolini provocano vera soggezione e ancora, lì dove l’austriaco mette a nudo scene di violenza psicologica ma non fisica, Pasolini scatena in modo esplicito una smaniante “Mostra delle Atrocità”.
Curiosando: tra i collaboratori alla stesura della sceneggiatura, salta fuori anche il nome di Pupi Avati. Che non è affatto poco e chi vuol capir capisca.
Sequenze memorabili: “il Girone della Merda” al completo, la tremenda parte conclusiva “del Girone del Sangue” e il volto velato da uno strabismo del Presidente Finanziere Durcet, aka Aldo Valletti.