Tutto cominciò nel lontano novantasette, mese di Marzo.
Università La Sapienza di Roma. Sede di Anatomia Umana. Ore sedici e quaranta.
Percorro viale Ippocrate come un mariuolo votato al furto. Volto teso e occhiate nervose a destra e a manca. Pompo sulle gambe, devo sbrigarmi, la lezione è cominciata da mezz'ora circa e io sto ancora in giro a non fare una mazza. D'istinto, prima d'imboccare la via dello stabile, do una sbirciata alle troppe riviste dell'edicola di fronte. Puff, gli occhi intercettano un pezzo di figa inginocchiata su una poltrona da barbiere. Mi avvicino e leggo 'Cinema Porno, la poesia della nuova carne' e più in alto 'Lost Highway di David Lynch'. L'alchimia tra il visionario David e la fanciulla con due pere così grandi che ci si sarebbe potuto ascoltare il mare, mi obbliga a raggiungere la postazione dell'edicolante. "Salve" gli dico "Potrei avere quella rivista per favore?" e lui bisognoso di conferme "Duel?" faccio sì con la testa. Pago il brav'uomo e saluto. "E andiamo" farfuglio sotto i baffi "Ora si che posso seguire la lezione senza rompermi le palle". Entro in aula dal retro, con fare invisibile raggiungo un banco libero ma sedendomi creo il panico perdio! Il professore, intento a disegnare un femore sulla lavagna, si volta di scatto e prende a sondare dalle mie parti. Io faccio l'indiano, osservo interessato il suo magnifico mezzo arto e l'idea funziona, perché si rigira e continua a spiegare. Risatine dei miei colleghi. Cazzo ridete. Finalmente apro l'acquisto di carta e comincio a sfogliare la situazione. Rimango frastornato, belle cose porcavacca, c'è poco da dire. Intorno alle diciotto, al termine della lezione, tutti a fare i vaghi sulla figa di copertina (volutamente messa in risalto). Ci fosse stata una sola anima a chiedere delucidazioni. Sticazzi mi sono detto. Comincio a seguire regolarmente le uscite di Duel. La febbre aumenta fino a una sera in cui decido di richiedere una dozzina di arretrati. In fase di scelta, studio attentamente le mini-copertine nell'apposita rubrica e dopo aver ultimato l'operazione mi annoto l'indirizzo per effettuare l'ordine. Leggo Stemax Coop, via Lorenzo eccetera eccetera, Roma. Hai capito. Roma. E se ci andassi di persona? In fondo cos'ho da perdere? Al limite più di no non possono dirmi. La prima volta non si dimentica mai. Raggiungo il numero civico di un palazzo come tanti. Citofono, dico la mia e m'invitano a salire. Apro un portone vetrato, di quelli che piacciono tanto a Dario Argento poi sparisco nell'oscurità. Dopo aver contemplato una sorta di piscinetta senza acqua né pesci rossi accanto alla rampa delle scale, salgo le stesse e mi dirigo lentamente al primo piano. Viro a sinistra ed eccomi qui: Stemax Coop. Suono il campanello, sento il clack di apertura automatica della porta e un giovanotto di cui parlerò più avanti mi chiede cosa desidero. Lista alla mano gli enuncio la motivazione della mia presenza, lui mi risponde "Va bene, non ci sono problemi" e sparisce nei meandri dell'appartamento. Essendo in balia degli eventi e non potendo far altro che guardarmi attorno, decido di assecondare i miei nervi oftalmici. Il particolare più evidente è l'abbondanza di foglietti, foto, quadri e poster attaccati ovunque, tanto da farmi esclamare "Perlamadonna!" e subito dopo "Qui c'è un mondo che gira". Senza preavviso una voce maschile mi riporta in superficie "Ciao". Un tizio moro con un pizzetto da applauso tanto è simmetrico, m'invita a raggiungerlo nella stanza che fa da proseguimento al corridoio d'entrata. Accantonato il saggio consiglio di non parlare agli sconosciuti, varco la soglia e ricambio il saluto, dopodiché, terminati i convenevoli, cominciamo a discorrere del più e del meno. Con due occhi luccicanti mi chiede se per caso leggo il Mucchio Selvaggio. No, gli rispondo. Le due fiammelle si affievoliscono, ma non la voglia di favellare. Mi racconta che anche lui è un appassionato di cinema e che con un suo cortometraggio è riuscito a togliersi belle soddisfazioni. "Grosso!" gli esclamo in faccia "Complimenti". Sto da dio, parlo e non mi fermo più, confido che anch'io ho tante idee e un giorno m'inventerò qualcosa per sfruttarle a dovere, ma nel frattempo mi limito a scribacchiare qualche raccontino puzzone. Infine, nell'attimo in cui ricompare il giovanotto con arretrati alla mano, il moro mi allunga la vhs contenente il corto. "A un patto però" aggiunge "Che devi riportarmela entro venerdì, perché la devo consegnare a una persona". "Figurati" replico io "A tornare qui m'inviti a nozze".
Accelerazione fino all'estate novantotto. Sardegna.
Per dei casi a dir poco fortuiti conosco un'indimenticabile fanciulla di Vicenza. Raffaella. Scorrono i giorni e l'elemento 'gran culo' è a mio favore, tanto che il rapporto s'intensifica sino a sfociare nei caldi fumi dell'amore. Ci si rende conto di avere molte cose in comune, ma fino a quel punto non avrei mai immaginato... Una mattina presto mi dirigo in spiaggia. Tra le numerose famigliole in meritata villeggiatura, scorgo Raffaella dialogare con una neo mamma. Mi avvicino, saluto e sistemo l'asciugamano accanto al suo. Cerco d'inserirmi simpaticamente nel contesto ma non vengo cagato di pezza, per cui decido di concedermi al sole. Pancia all'aria, compio una leggera torsione del collo e vengo catturato dalla sua borsona di vimini. Da non crederci! All'interno è adagiato il numero estivo 316 del Mucchio Selvaggio. Flashback degli occhi affievoliti del moro col pizzetto. Catturo il settimanale e ne approfitto. Terminato il comizio materno, le racconto con enfasi la vicenda di Duel e della Stemax; lei ascolta e si diverte, poi mi chiede come mai non leggo il Mucchio. Non tardo a farle sapere che la domanda mi era stata già rivolta a suo tempo. "Piuttosto", interrompo io, "se leggi il Mucchio significa che stravedi per la musica". "Non solo" risponde lei e comincia a enunciarmi tutti i lodevoli pregi della rivista. Io non sono da meno e m'impegno ad esaltare le potenzialità di Duel. Scatta una competizione infame, ognuno a pubblicizzare spudoratamente la propria testata. Ed è proprio lì, su quella spiaggia sarda, di mattina presto, che abbiamo varato lo storico scambio del testimone. Ossia, appena tornati nelle rispettive città, l'una avrebbe esaminato la rivista dell'altro. Punto. Di nuovo nella capitale ho mantenuto fede alla mia promessa. Ogni martedì fraseggio lampo con l'edicolante di fiducia ed acquisto compulsivo del Mucchio. Devo ammettere di aver faticato non poco a decifrare i contenuti e le strutture del giornale, vuoi un po' per la pochezza musicale radicata in me, vuoi un po' per l'interesse in quel periodo di altre attività creative. Ma ho insistito e il Dio-della-Consapevolezza mi ha dato ragione. Numero dopo numero ho iniziato a rendermi conto che tutto ciò di cui avevo bisogno per comprendere un pochino meglio questo cazzo di mondo era sempre stato all'interno di quelle pagine. Abbonamento immediato, coincidente col primo dei ciddì in regalo ogni tot mesi. Soldi spesi bene. Ma la gioia definitiva mi si è presentata con la clamorosa offerta degli arretrati a tremilalire; ho fatto una scelta di vita e ho deciso di rompermi il culo per recuperare il tempo perso. Tale scelta mi ha costretto a rifrequentare dal vivo la necessaria Stemax. Splendidi ricordi. Innanzitutto il rapporto instaurato indirettamente con il gentilissimo Luca (il giovanotto di cui sopra), della serie 'stai sempre qua a chiedere arretrati, è chiaro che prima o poi ti riconosco...'; ancora oggi non sa come mi chiamo, associa la mia brutta faccia al ragazzo degli arretrati, mi conduce in una stanza stracolma di Mucchi in cerca di lettore e scova come un segugio il materiale da me richiesto. Altro ricordo preziosissimo è l'immancabile presenza di un distinto signore, ininterrottamente impegnato a sorvegliare l'andamento della baracca. Tutte le volte, mani dietro la schiena, te lo vedo vagare in rigoroso silenzio da una stanza all'altra; in più, quel suo sguardo di chi ne ha viste tante misto a un portamento da eroe d'altri tempi, mi ha costretto a denominarlo il 'Guardiano del Faro'. Una piacevole mattina, illuminata da un soletto tiepido tiepido, salgo in macchina e raggiungo la Stemax. Scelgo sei numeri, arrotondati a dieci dal filantropo Luca, quindi mi appresto a pagare. Ho solo un pezzo da cinquanta, glielo porgo, lui rovista nel cassetto dei beni monetari ma si accorge di non avere il resto. "Un secondo" mi dice e si allontana alla ricerca di probabili contanti. Poi ad un tratto la magia! Dal nulla sbuca il famigerato signore che mi sussurra con un simpatico accento toscano "Facciamo una cosa. Scendiamo al bar qui sotto, ci prendiamo un bel caffè e cambiamo i soldi". "D'accordo" rispondo io. Raggiunto il pianterreno mi fa "Sai, io sono il babbo di Max...lo leggi Seppia?" Ma dai! Che spettacolo! Ecco chi era! In effetti i suoi tratti somatici mi avevano sempre ricordato qualcuno... Glielo faccio presente e lui sorride. Usciti all'aria aperta mi prende sotto braccio e comincia ad arricchirmi d'incredibili storie di vita vissuta. E' una mirabolante reazione a catena, passa da un discorso all'altro senza soluzione di continuità, dai sacrifici sovrumani di Max per mantenere arzillo il progetto Duel, alla musica che non è più quella di una volta, dallo schifo politico che non ci si capisce mai niente, ai soliti tre o quattro potenti che decidono per noi, il tutto condito da un tono rigorosamente incazzato. Approvo le argomentazioni seduta stante. Tento di offrire il caffè, ma non se ne parla, ci pensa lui e pian piano ci riavviamo verso il covo. Completate le operazioni pecuniarie con Luca, il papà di Max mi dice "Torna quando vuoi, per noi è sempre un piacere", poco dopo è già in un'altra stanza. C'è altro da aggiungere?
Considerazioni attuali.
Immagino il Mucchio Selvaggio come il perfetto centro di una mappa cittadina. Le innumerevoli strade e diramazioni si sviluppano tutte a partire da esso. Ogni percorso, se attraversato, conduce comunque da qualche parte. La città esiste, c'è solo da mettersi in marcia. Ringrazio Max e collaboratori ogni volta che mi alzo dal letto.


Roma, 2002.