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Stati Uniti d'America (05/01)


Diceva Albertone: “Ao, l’americani so’fforti” e aveva abbastanza ragione. L’America ha dalla sua alcuni primati indiscutibili, e non solo militari: il rock'n'roll, la pop art e internet nascono lì, tanto per citare tre cose che hanno cambiato il mondo. Inoltre l'America nasce da una rivoluzione avvenuta poco più di duecento anni fa, il che la rende un paese molto giovane e dinamico; la prova è che c'è stata una gigantesca immigrazione verso gli Usa e non tutta avvenuta per ragioni economiche: molti artisti per esempio si sono trasferiti lì, dove sembra davvero più facile vivere della propria creatività, per mille interessanti ragioni di cui non c'è spazio per parlare qui. L'America è un paese così importante che nel corso degli ultimi 50 anni è nata una forma di anti-americanismo, che periodicamente torna a galla; una specie di sintomo da overdose di America, che ormai permea gran parte del pianeta. Questo atteggiamento massimalista (America = schifo) è stupido per gli stessi motivi per cui lo sono l'anti-ebraismo e l'anti-negrismo, e non permette l'analisi lucida che la questione richiede, e che offre degli spunti sorprendenti.

Tutto nasce dopo la seconda guerra mondiale; come succede in questi casi i vincitori si sono spartiti i paesi dei vinti. la Russia ha scelto un sistema di controllo diretto, creando quello che una volta si chiamava “il blocco comunista“ (con tutte le conseguenze e i drammi del caso). Gli Stati Uniti, nel loro stile meno appariscente ma altrettanto efficace, hanno creato il blocco occidentale: una zona apparentemente libera ma sotto uno stretto controllo politico, militare ed economico - regolato da una serie di istituzioni visibili (come la Nato) e invisibili: è nota l'influenza degli Usa nella politica italiana, nell'economia e perfino nella cultura, attraverso agevolazioni ai prodotti televisivi e cinematografici made in Usa. Parallelamente però negli Stati Uniti nasceva la cosiddetta cultura “alternativa“ che - spesso in polemica aperta con la politica statunitense - produceva cose straordinarie: il jazz, la beat generation, Woodstock, la psichedelia, il pacifismo, l'hip hop e via dicendo. Tutti fenomeni con un naturale potenziale di comunicazione: roba che si vende da sola.
Si è quindi venuto a creare un curioso paradosso: stufi di cultura americana spacciata con micidiale sapienza pubblicitaria, i giovani europei l'hanno rifiutata per abbracciarne un'altra... pure americana. Negli anni '70 la divisa dei ragazzi di sinistra erano jeans levi's e camicia a quadri - ambedue made in Usa; la prima lettura era “Sulla Strada“ di Jack Kerouac, un romanzo (straordinario) assolutamente americano. Ancora oggi i musicisti italiani che rappresentano la cultura “alternativa“ (una parola di merda, ma per capirsi va benissimo) italiana hanno scelto forme assai americane, da Guccini fino agli Assalti Frontali. Molte delle parole d'ordine delle recenti lotte sociali vengono dagli Stati Uniti, per esempio il movimento di Seattle, dove il paradosso esplode: americani in lotta contro un fenomeno assolutamente made in Usa come la globalizzazione. Insomma l'America, come dicono a Roma, “se la canta e se la sona“, proponendo dei modelli e degli anti-modelli.

D'altronde, come si diceva all'inizio, è un grande paese, vieppiù grande dopo il crollo del muro di Berlino che l'ha resa incontrastata vincitrice e padrona del mondo. E qui c'è la seconda sorpresa: invece di inaugurare una nuova era di pace ed armonia, gli Usa si comportano come se non gli bastasse mai: esempi? Lo scandaloso comportamento dopo la strage del Cermis, la ridicola pretesa di applicare le leggi Usa nel resto del mondo, l'ingiustificata permanenza di basi americane in Europa e Asia, la grottesca guerra alla droga condotta dalla narcotici americana in altri paesi, contro il parere dei paesi medesimi, il recente voltafaccia sulle questioni ecologiche in nome del mantenimento della supremazia economica. Un atteggiamento inutile e controproducente. Ma come: hai già stravinto tutto. Mo’ che vuoi? L’annessione del pianeta? Che ci cambiamo tutti il nome in George W?


© 2002 Sergio Messina