‘A MAIDDA di mastro Paternoster (UsticaLab).




(Primo piano di Madia Colombara, 3 – 5 Kg di impasto)


Fronte imperlata di sudore, avambracci rigidi e bicipiti rigonfi dopo aver chiuso un impasto a mano.

“Porcoddena! Il mio trisavolo zio Arduino aveva già capito tutto…”

Ancora adesso, dopo proficui mesi di esperimenti, sono qui a ripetermi stupito questa inappuntabile verità. Di zio Arduino, intendo.

C’è un segreto legato all’esistenza della Madia e per scoprirlo bisogna semplicemente possederne una.

Prezioso utensile che ha reso gigantesco l’operato di una miriade di panificatori esistiti prima di noi, ai tempi d’oggi averne un esemplare in cucina incoraggerebbe senza remore alla minzione mattutina, considerato l’aspetto da pitale squadrato, oppure verrebbe da indossarlo a Carnevale come cappello da samurai, ma la verità è che dietro a tutti quegli spigoli s’irradia la perfezione assoluta.

Butti nel suo ventre il tuo pezzetto ben calibrato di lievito di birra, aggiungi acqua e sciogli con le dita ascoltando il piacevole sciabordio. E’ il canto della Madia, che ti prepara alla fatica successiva.
E quando acqua e farina s’incontrano e la mano s’indurisce ad aumentare l’andatura, solo allora il segreto di cui sopra si rivela in tutta la sua potenza: ondate d’acqua pastellata lambiscono le alte pareti lignee senza mai oltrepassarle, si lavora l’impasto con una mano, mentre l’altra è comodamente poggiata sul bordo per stabilizzare il movimento; più farina s’aggiunge e più il movimento si fa energico, come un mare in tempesta tutto s’agita eppure la materia lavorata resta in seno alla Madia.

A osservarla da fuori, statica e quadrangolare, parrebbe un ordinario mobiletto anni settanta, ma chi ci sta sopra comprende quanto in realtà la Madia sia palpitante, viva, pronta a figliare il suo impasto.

Certo, il pratico casalingo potrebbe obiettare: “Tutta ‘sta manfrina, quando è sufficiente recuperare dallo scaffale una ciotola qualsiasi e impastare allo stesso identico modo”.
Senz’altro. In tempi moderni la praticità prima di tutto.
Poi però succede che in un momento X della mia vita, prendo la praticità e la mando straordinariamente a cagare, godendomi ogni gesto con una calma lunare praticamente estinta di questi tempi.

Tornando alle faccende serie, quando ho a che fare con Pizza&Pani per me esiste solo il meglio.
E il meglio per come lo concepisco io ha senza dubbio a che fare con UsticaLab.

Nella mia esperienza di panificatore casalingo/agguerrito ho capito che farsi un bagno nell’acqua della Sardegna non è come farselo a Maccarese nel litorale laziale .
Certo, c’è la sabbia, il sole, il vento, sempre di mare si tratta e poi uno più è bravo a nuotare e più arriva fino a largo, tuttavia non è la stessa cosa.
E questo concetto, legato a doppio filo alla realtà di UsticaLab, lo vado raccontando già da quel dì.

Io posso solo dirvi che Pierpaolo Paternoster è un fine artigiano del legno con la benefica aggravante di amare alla follia l’Arte Bianca. E allora, dietro le sue tavole levigate e sapientemente incastonate, c’è tutta un’osservazione delle attrezzature dei Maestri, antiche e moderne, con la ferma intenzione di elaborarle e trasformarle in manufatti dotati di vita propria.

E io è da tempo che ho capito la lezione e quando sarà il momento non vorrò farmi trovare impreparato. Una cosa tipo: “Zio Arduino aveva già capito tutto, ma zio Kurando aveva capito ancora di più”.

Bellecose.


Kurando.
Novembre 2017.

Giano Zafferallo. Gambero Bronx.